L’amore è contagioso (Roberto Toscano)
Di prediche ne “subiscono” già a casa e a scuola: ecco perché alcuni ragazzi si allontanano dalla parrocchia e temono di essere indottrinati con nozioni bigotte. Servirebbe una dose di amore gratuito e disinteressato, attraverso canali alternativi, come il gioco. È questa l’idea semplice e al tempo stesso brillante che ha messo in pratica oltre vent’anni fa Roberto Toscano, imprenditore 49enne di Novoli (in provincia di Lecce) con la realizzazione del “Campus Giovani”: “Quest’intuizione brillante di don Gerardo Ippolito, allora parroco della chiesa di Sant’Andrea Apostolo – spiega con gli occhi che brillano – ci ha permesso di uscire dalla parrocchia per andare in periferia e avvicinare così alla fede ragazzi che non avevano mai fatto esperienza di Dio e che oggi continuano a diffondere lo stesso messaggio”.
Convincerli non è stato semplice perché diffidenza e pregiudizi hanno creato barriere altissime: “Pensavano ‘Chissà cosa c’è dietro se mi danno una mano’, ma si sono resi conto che invece accettando quel gesto gratuito si apriva loro un mondo. Ammettiamolo: l’amore è contagioso”. La manifestazione estiva dura una settimana, è aperta a giovani dai 16 ai 40 anni, ma richiede oltre un mese di preparazione: “Facciamo tutto insieme – racconta Roberto – in comunione, dividiamo quello che abbiamo e da questa specie di “giochi senza frontiere” nasce qualcosa di eccezionale: si fa squadra e si discute su temi importanti come la vita, la solidarietà e i valori. È l’esperienza più bella del mondo, mi ha cambiato la vita e mi ha regalato la fede”. La prima lezione di accoglienza degli altri Roberto l’ha imparata tra le mura domestiche: “A 8-9 anni papà ha ospitato un barbone invitandolo a pranzo con noi. Mi ha detto che aveva bisogno di aiuto di noi e gli ha aperto le porte di casa”. Il vero e proprio momento di svolta è arrivato dopo: “Ho sempre frequentato i sacramenti ma ero critico, poi a 24 anni ho fatto la scoperta di Dio nella quotidianità grazie al Movimento dei focolari: ho incontrato queste persone sorridenti che mi accettavano senza chiedermi niente e hanno suscitato in me grande curiosità. Un giorno mentre andavo in banca mi hanno invitato per un recital perché all’epoca suonavo la batteria ed è cambiato tutto: basta volersi bene”.
A parole potrebbe sembrare semplice, ma servono i fatti: “Quando ami gli altri in maniera gratuita se ne accorgono. Non servono atti eroici, comincia tutto con un sorriso, ma bisogna allenarsi ad atti di generosità guardando alla vita di Gesù. Facile a dirsi quando va tutto bene, ma va messa in preventivo la croce e se l’ha accettata Lui allora possiamo farcela anche noi”. Da titolare di una ditta, Roberto conosce bene gli alti e bassi del settore: “Molti imprenditori – commenta – fanno atti estremi, se non sei preparato umanamente c’è da impazzire. Le tentazioni esistono e ci sono giorni in cui ti senti crollare addosso il lavoro di una vita, quando la merce non arriva o la banca fa movimenti sbagliati”.
Oltre al Campus Giovani sono moltissime le attività a cui Roberto si è dedicato, dal volontariato con gli immigrati dall’Albania al servizio per il centro accoglienza Regina Pacis di San Foca. Ha partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù di Roma e Parigi e continua ad organizzare in parrocchia momenti aggregativi, dalla costruzione del Presepe con i giovani alla preparazione liturgica della Settimana Santa. Molti dei ragazzi che ha formato sono oggi educatori e proprio durante un camposcuola, ossia un ritiro in parrocchia, ha conosciuto Miriam Mello, che sarebbe diventata sua moglie. “È sempre stata coinvolta nelle attività di fede, dal coro parrocchiale al Movimento Giovanile Missionario, e mi ha colpito subito per generosità e altruismo”.
Niente scelte avventate, però: “Durante il Campus – precisa Roberto – ero al centro dell’attenzione come organizzatore e poteva succedere che qualche partecipante scambiasse l’entusiasmo della manifestazione per infatuazione. Io prendevo quel ruolo molto sul serio e tenevo tutte a distanza, così quando lei mi ha detto “Ti amo” le ho risposto “Poi ti passerà”. Per prendere il primo caffè insieme ho impiegato un anno, ma ora so che la risposerei ogni giorno, anche se è stata lei a farmi la proposta. Anche in questo caso volevo essere sicuro e cauto, si trattava della compagna di tutta la vita, ma una come lei non te la fai scappare e così il matrimonio ha significato per me la prima forma di ringraziamento. Senza di Lui non l’avrei mai incontrata e ho voluto mettere l’amore di Dio tra me e Miriam, con tutto il cuore”.
La vita matrimoniale di Roberto e Miriam è particolare perché lei insegna matematica alle superiori in provincia di Bergamo, dalla parte opposta dell’Italia rispetto a dove è nata e cresciuta e dove vive il marito: “Il suo lavoro – spiega l’imprenditore – lo fai solo se hai la vocazione di stare con i ragazzi, è una scelta di testa ma anche di cuore. La distanza aiuta a ricercarsi, sentirsi come eterni fidanzati, con la voglia di incontrarsi e condividere tutto, dal commento al Vangelo che ricevo ogni giorno via e-mail al resoconto della giornata, anche quando hai voglia di parlare più che di ascoltare. Io cerco di anticipare quello che le piace, di stare attento alle sue esigenze, di mettere Dio nel nostro quotidiano”. Mentre parla Roberto sta sistemando quello che ha ribattezzato “il giardino Miriam”, un angolo di verde che sta creando per la moglie, attorno a quella che sarà la nuova casa, ora in costruzione, che l’aspetta al ritorno in Puglia dopo esami e scrutini. “Può sembrare un paradosso, ma per noi quei chilometri sono diventati quasi un vantaggio, li abbiamo volti al positivo perché l’amore fa superare tutto”.
La figura più rappresentativa nel percorso di fede di Roberto è don Gerardo Ippolito: “Lo considero un secondo padre – spiega l’imprenditore –un campione di carità che continua a rappresentare un modello a cui ispirarmi: sarà per sempre il mio parroco”. Roberto lo ha conosciuto all’epoca in cui il sacerdote prestava il proprio servizio nella Parrocchia di Sant’Andrea Apostolo a Novoli, in provincia di Lecce. “Ha organizzato lui la mia prima missione umanitaria l’abbiamo fatta in Albania con la Caritas, nel 1999. Ho usato il mio camion, assieme ad altri due, per portare medicinali e alimenti ai bambini del posto e lì hanno anche tentato di portarmelo via. Di ritorno in Italia la polizia ci ha guardato con sospetto, quasi trattandoci come trafficanti internazionali di armi e droga. L’ho vissuta come una prova incredibile, c’erano armi e scafisti ovunque e mi sono davvero spaventato tanto”.
L’intervista è stata pubblicata sul settimanale “A sua immagine”, numero 132, 18 luglio 2015