Si dice in giro che se un attore non è comparso in un episodio dei miei telefilm allora o è incapace o lo hanno cacciato (Dick Wolf)
Quando Dick Wolf risponde ad una domanda sembra sempre che stia pensando a voce alta, borbottando tra sé. Quest’abitudine deriva dal fatto che è costantemente sintonizzato sui suoi pensieri: mentre parla con qualcuno sta montando nella mente un episodio o pensando al prossimo telefilm da lanciare. È un vulcano d’idee in continua eruzione. Stare al passo con la sua velocità è come sfidare Valentino Rossi su un circuito a due ruote…
Indaga il lato oscuro dell’umanità, per lavoro ma soprattutto per passione. Da quasi 40 anni, puntata dopo puntata, il produttore Dick Wolf dipinge il crimine in tv: dopo la gavetta nel mondo della pubblicità e un’incursione al cinema, si è legato a doppio filo al piccolo schermo. La prima volta “al comando” risale a ‘Miami Vice’, anche se la rivoluzione arriva con ‘Law & Order’ e i suoi spin-off, che da vent’anni polarizzano l’attenzione verso il poliziesco “classico”. Oggi ha dato vita ad una famiglia di eroi quotidiani sotto il cielo di Chicago: dopo i pompieri di ‘Fire’, i detective di ‘P.D.’ e dopo i medici di ‘Med’ ritorna nelle aule del tribunale con ‘Justice’. Non si tratta più di puntate crossover che passano il testimone da una squadra all’altra, ma di un unico universo declinato in vari ambiti. Tutti, in un modo o nell’altro, raccontano il dark side, senza demonizzarlo o idolatrarlo: invece d’infiocchettare la realtà, Dick Wolf la porge al pubblico come uno specchio, implacabile e onesto. Questi personaggi ci entrano sottopelle senza provare a piacerci a tutti i costi, in questa netta dicotomia tra bianco e nero, bene e male. Non chiedono l’empatia del pubblico, né tantomeno la sua approvazione, proprio come il loro deus ex machina, e al Festival della TV di Monte-Carlo ne ha spiegato il motivo.
Perché tutte le sue storie ruotano attorno al crimine?
Mi sono votato al realismo ormai da tantissimo tempo, realizzo quello che mi piace vedere in tv, con naturalezza e consapevolezza. Non seguo le mode, non mi adatto ai gusti del pubblico, scelgo invece di mostrare la realtà che ci circonda, con un intento simile al cinema verità. E anche se l’arresto di un criminale non avviene in 20 minuti, la descrizione delle investigazioni risulta piuttosto credibile.
Nonostante l’avvento di ‘C.S.I.’ e altri franchise di successo, i suoi telefilm continuano ad andare in onda con successo.
Senza di noi non ci sarebbero stati… e neppure ‘The Wire’, per essere onesto. Ogni settimana oltre 40 milioni di spettatori in America seguono le mie storie e finora ci sono oltre 40.000 parti parlate, se sommiamo ‘Law & Order’ e ‘Chicago’. Si dice in giro che se un attore non è comparso in un episodio dei miei telefilm allora o è incapace o lo hanno cacciato.
Il suo crime è vecchio stile?
Ha una struttura lineare, classica, solida, che non si esaurisce dopo due stagioni, ma può continuare potenzialmente all’infinito perché prende spunto dall’attualità e registra i crimini con occhio quasi clinico, senza sfociare nella soap o ricorrere ad elementi fantasy.
Sta per arrivare in tv ‘Law & Order: true crime’, il cui primo ciclo di puntate è dedicato a ‘The Menendez Brothers Murders’, due fratelli che hanno ucciso i genitori nel 1989 e sono stati condannati all’ergastolo. Perché alimentare questo filone?
Perché il sistema giudiziario mi affascina e inoltre sono affascinato dalle conseguenze di un atto criminale. La crudeltà di un reato viene bilanciato dallo sforzo di tanti eroi quotidiani che si spendono per riparare ad un torto. Non ho intenzione di pontificare su nulla mostro solo i fatti e mi baso su un principio semplicissimo, siamo tutti interconnessi.
Si spieghi meglio.
Ho puntato i riflettori su una città ‘vecchio stile’ nel cuore degli Stati Uniti, Chicago, per mostrare il senso di comunità, il legame che ci unisce gli uni agli altri, anche attraverso eventi traumatici. E l’amministrazione comunale ha lodato i nostri sforzi nel dipingere le lotte quotidiane delle forze dell’ordine.
È vero che quando ha
creato ‘Chicago Fire’ già aveva in mente tutti gli altri telefilm?
Certo, costruisco Mercedes Classe S, macchine indistruttibili e
confortevoli, mica Ferrari. Punto alla longevità, ragiono nel lungo periodo e
offro una certezza agli spettatori. Sanno cosa aspettarsi e puntualmente lo
trovano, anche se con i pompieri la prospettiva è un po’ cambiata. Di solito
quando la gente vede arrivare la polizia scappa, se invece incontra un vigile
del fuoco gli va incontro.
Cosa cerca il
pubblico?
Non la prenda per presunzione, ma le maratone di episodi sono nate proprio
con ‘Law & Order’. Oggi si chiamano binge-watching e sembra una novità dei
servizi di streaming ma risale al desiderio dello spettatore di essere immerso
in un racconto concreto, solido, autentico per il maggior tempo possibile. E
noi gli offriamo questo, la storia degli eroi del quotidiano.
Dicono di Wolf…
Ogni anno gli attori dei vari cast delle serie di Dick Wolf presenziano il Festival della tv di Monte-Carlo con workshop e anteprime. Del produttore LaRoyce Hawkins (Kevin Atwater di ‘Chicago P.D.’) ha detto: “Non abbassa mai gli standard, richiede eccellenza e ce lo ricorda ad inizio di ogni stagione come requisito fondamentale. Presta la massima attenzione ai dettagli e non si accontenta mai, al punto di fare e rifare anche tutto il lavoro dall’inizio se le circostanze lo richiedono”. Gli fa eco la collega Miranda Rae Mayo (Stella Kidd di ‘Chicago Fire’): “Dick Wolf ci unisce in un’unica visione, basata sull’etica e sull’impegno”. Kelli Giddish (Amanda Rollins di ‘Law & Order SVU’) aggiunge: “Ha il dono di creare universi interi, personaggi capaci di entrare nelle camere da pranzo del pubblico ogni settimana, mettono radici come microcosmi episodici che non obbligano lo spettatore a seguire la serie dalla prima puntata per entrare in connessione con la storia”. “La più grande dote di Dick Wolf – dice Nick Gehlfuss (Will Halstead di ‘Chicago Med’) – è la lealtà, crede nella longevità e punta sull’attualità, ci ricorda cosa succede nel mondo ma da un diverso punto di vista. Si vede che è innamorato del suo lavoro”.
Intervista pubblicata sul mensile “Crime Magazine”, numero 1, ottobre 2017