Prima che Brad Pitt monopolizzi l’attenzione della Croisette e getti il panico al Festival di Cannes, meglio approfittare di qualche parentesi di apparente calma per osare.
Nei giorni di ordinaria follia di solito si digiuna in fila, si “spacciano” orsetti gommosi nella sala principale del cinema oppure ci s’infltra nella mensa dei “guardiani” del palazzo del cinema, un luogo ameno.
Nello scantinato.
Senza finestre.
Con neon da studio dentistico.
I prezzi però sono ragionevoli e, di tanto in tanto, invece dei soliti addetti alla sicurezza calvi, in sovrappeso e annoiati, c’è qualche nuova recluta delle forze dell’ordine (la classica accoppiata romana “giovedì-gnocchi”).
Ieri, invece, si è verificato il miracolo: quasi due ore libere dopo l’incursione a sorpresa in hotel di Quentin Tarantino dopo l’intervista al collega Refn.
In un delirio d’euforia si cerca un ristorante. Sono quasi le quattro di pomeriggio, molti sono chiusi o già pieni.
Uno di loro, un vietnamita, è stranamente vuoto: come un’oasi nel deserto ci si fionda, carichi delle migliori intenzioni e con un certo languorino.
Il cameriere ci guarda con disappunto.
Prima ci fa sedere, poi cambia idea e ci fa spostare. La sala esterna è deserta, ma la buona volontà non manca e si eseguono ormai tutti gli ordini, per quieto vivere.
“Scusi, ha il wi-fi?”.
Pausa irritata: “No”.
“Non importa, possiamo pagare con Maestro?”
“No”.
“Visa, Mastercard?”.
“No”.
Meglio non insistere, la troppa ospitalità potrebbe nuocere alla salute. Approfittando di una momentanea distrazione, scatta immediatamente la fuga.
Accanto c’è un fast food libanese.
Rinasce quel barlume di speranza iniziale.
Due stuzzichini e una mezza minerale in due su tovaglioli di carta? 45 euro. Sembra di essere in una delle pagine del libro Lenticchie alla julienne di Antonio Albanese.
“Tornate pure stasera, all’angolo facciamo cucina italiana”.
Momento di silenzio prima di piombare nello sconforto.
Si capisce, allora, perché in Costa Azzurra esistono figure più insolite dei “mistery shopper” (la gente pagata per fingersi cliente dei negozi e poi mandare alle aziende un resoconto sull’operato dei commessi). Non hanno neppure un titolo vero e proprio, sono i cosiddetti “fixer”, quelli che ti tirano fuori dal cilindro qualunque invito al party sullo yatch di DiCaprio, biglietto per vedere la proiezione in braccio a Brad Pitt o tavolo riservato per match di boxe privato con Sylvester Stallone.
Nessuna impresa è impossibile nel sottobosco del baratto vip. Milioni di assistenti/schiavi lavorano come laboriosi apette per soddisfare le necessità glam dei clienti, stringendo patti con il Diavolo. Alcuni pagano per imparare l’arte dello scambio tra vip. E non in senso figurato: staccano assegni da svariate migliaia di euro per diventare i tuttofare di Hollywood. Massima aspirazione: servire il botox a Kim Kardashian.
Altro che tre desideri della lampada, qui si fa sul serio.
Budget illimitato, contatti esclusivi.
Tutti gli altri rinfoltiscono la fila dei “questuanti”, che dall’alba a mezzanotte affollano il palazzo del cinema mendicando con cartelli di ogni genere un biglietto per la premiere serale. Agghindati di tutto punto e sfidando qualsiasi intemperia meteorologica, si piazzano all’ingresso nella speranza di muovere a compassione – in smoking o in abito lungo – i passanti.
La ragione? Semplice: ci sono cose che non si possono comprare (come i biglietti per vedere i film).
Per tutto il resto c’è Mastercard.
Tranne dal vietnamita, mon cheri.