Ci vuole coraggio per mettere nero su bianco i propri sentimenti, delusioni incluse, e il giornalista Federico Boni ne ha da vendere. Usa l’ironia senza mai ferire: uno scudo sì, ma per difendersi da un mondo a volte troppo crudele e meschino, e al tempo stesso per affrontare le difficoltà con un sorriso. Ecco com’è nato il primo romanzo, Somare (SEM, 203 pagine), un esilarante ritratto di una comunità LGBT fatta di storie diverse, di amicizie, di amori e di avventure.
Tutto è nato dal blog Spetteguless nel 2005, per proseguire l’anno dopo come critico cinematografico di Blogo e poi fondatore di Arcobamedia, sito dedicato ai media LGBT. Al momento è caporedattore di gay.it e, come dice lui stesso, “tutto questo, ovviamente, nel fantasmagorico mondo dei free-lance”.
Quando è nato l’amore per la scrittura?
“Al liceo, grazie ad una straordinaria professoressa di italiano che prima mi malediceva causa incomprensibile calligrafia, per poi darmi consigli, ispirarmi, correggermi, e alla fine complimentarsi. Senza di lei, probabilmente, non avrei mai pensato di intraprendere questa strada”.
Il primo ricordo con una penna o una matita in mano?
“Sono sempre stato un pessimo disegnatore, ma i primi ricordi da scribacchino li lego probabilmente alle elementari, quando trascrivevo sul diario i testi delle canzoni di Sanremo. Un’antica ossessione mai passata”.
Somare è il suo primo romanzo. Da quanto pensa di mettere nero su bianco questa storia?
“Onestamente non ci avevo proprio mai pensato. È stata la casa editrice a cercarmi, e inizialmente mi ero tirato persino indietro, dopo averli ovviamente ringraziati più e più volte, perché non mi sentivo in grado di dar vita ad un romanzo. Sono da sempre convinto che se tutti noi ci limitassimo a fare quel che sappiamo fare, senza avventurarci in strade sconosciute, vivremmo in un Paese migliore. Ma dopo il rifiuto iniziale il soggetto di Somare ha iniziato a prendere forma, con i suoi personaggi, il suo eventuale sviluppo. A quel punto ho fatto loro una semplice proposta: “Scrivo un capitolo, ve lo invio e con assoluta serenità voi mi dite se ritenete che possa essere valido”. E così è andata. Quel capitolo è piaciuto, e dopo un anno Somare è uscito in libreria”.
Quanto di lei e della sua vita c’è nel romanzo?
“C’è tanto, forse anche troppo. Andrea, il protagonista, è un po’ il mio alter-ego. Non a caso si chiama Andrea Bonfanti, nome che mi ossessiona sin da bambino e ho persino firmato così un esame universitario. Poi ci sono tanti aneddoti, apparentemente assurdi, realmente accaduti, per quanto inevitabilmente romanzati. Però chi mi conosce sa”.
Facciamo un totocasting: se qualcuno volesse adattarlo in un film o serie tv quali sarebbero gli attori che vorrebbe dessero il volto ai suoi personaggi?
“Che domandone. In realtà credo che necessiterebbe di attori sconosciuti, almeno per quanto riguarda i nomi principali. Però se proprio dovessi scegliere ti direi che Diana Del Bufalo sarebbe forse perfetta nei panni di Eleonora, Rocco Fasano in quelli di Marco. Josafat Vagni, già gay in Come non Detto, potrebbe interpretare Andrea, mentre Valerio Foglia Manzillo il combattuto Michelangelo. Ma è sulle mamme dei quattro che mi sbizzarrirei. Anna Galiena, Francesca Reggiani, Iaia Forte, Monica Guerritore e potrei proseguire all’infinito”.
Qualche amico si è ritrovato in un determinato personaggio e le ha tirato le orecchie?
“Solo in parte, perché effettivamente ho attinto un po’ da tutti, senza soffermarmi su un unico carattere. Sono tutti parte di un frullato geneticamente modificato. Anzi, sono talmente poco riconoscibili che alcuni si sono persino lamentati perché avrebbero voluto un ‘omaggio’ più esplicito”.
Perché ora più che mai è importante che tutti leggano questo genere di romanzi anche se accanto al titolo c’è sempre la specifica “lgbt”?
“Perché parlano di noi, del nostro quotidiano, in un mondo che ancora oggi fatica ad abbracciare la totale inclusione. L’etichetta LGBT non deve essere vista come limitante, bensì come un punto di forza, grimaldello con cui abbattere luoghi comuni, avvicinare chi non ci conosce alle nostre vite, spesso raccontate in modo distorto da chi si è posto l’obiettivo di discriminarci attraverso quella ‘diversità’ che in realtà riguarda tutti noi. Etero o LGBT, siamo tutti diversi l’uno dall’altro. Ed è anche attraverso la comunicazione che questa semplice verità può far breccia, soprattutto tra i più giovani”.
L’amore è amore eppure è difficile che questo concetto sia naturalizzato e in Italia il percorso da fare sembra ancora lungo. Cosa ne pensa?
“Credo che un primo muro sia stato abbattuto nel 2016, con la legge sulle unioni civili. Sono passati solo tre anni eppure sembrano 30. Dal punto di vista politico rischiamo di tornare indietro di decenni, a causa di un estremismo populista alimentato da odio e fake news. Bisogna resistere, non indietreggiare di un centimetro e metterci sempre più la faccia. Bisogna esporsi, mostrarsi, senza paura, gettare ogni maschera e rappresentarsi, in prima persona. 50 anni dopo Stonewall, la parità è ancora lontana”.
Quale mito sulla comunità LGBT si sfata nel suo romanzo?
“In Somare cavalco fino in fondo tutti i più celebri luoghi comuni sulla comunità LGBT in modo ironico e dissacrante. Ma solo e soltanto per portare talmente all’estremo i miei personaggi, in modo da costringerli poi a mostrarsi per quello che sono. Nudi, con tutte le loro debolezze, il bisogno d’affetto, d’amore, d’accettazione. Somare nasce con l’intento di sfatare il mito che non ci possa essere storia LGBT senza il dramma. Non è così. Il messaggio implicito che abbiamo dovuto sopportare per anni era legato alla ‘sfortuna’ di essere gay. Eppure anche noi ridiamo, ci divertiamo, scopiamo, ci lasciamo, flirtiamo, ci innamoriamo. Anche noi siamo felici e se potessimo rinascere, tu pensa, magari vorremmo rinascere omosessuali”.
Cosa succederebbe se non ci fossero più coming out da fare? Mi spiego meglio: quale sarebbe il prossimo passo verso l’uguaglianza?
“Il giorno in cui non ci sarà più bisogno di fare coming out sarà un giorno epocale. Ma quel giorno è assai distante. Il coming out è un passo fondamentale, nella vita di una persona LGBT. Tutto cambia e nulla è più come prima, da quando ti dichiari. Ti scrolli di dosso un peso enorme, fatto di menzogne a te stesso e agli altri, ma soprattutto contribuisci ad ampliare una visibilità che è necessaria, per poter un giorno arrivare a quell’agognata inutilità del coming out. Qualsiasi omofobo al mondo conosce una persona LGBT a sua insaputa. Magari un amico, un parente. Se solo sapesse la verità, probabilmente aprirebbe gli occhi per la prima volta. Quello sarebbe un gigantesco passo verso l’uguaglianza”.
A quale personaggio del mondo dello spettacolo, della musica, della politica, dello sport etc regalerebbe il suo libro perché vorrebbe che lo leggesse?
“Ad una quantità infinita di personaggi. Sicuramente a Massimo Ranieri, mio amore incondizionato da sempre. Indubbiamente a Ferzan Ozpetek, che ho citato e ampiamente omaggiato nello sviluppo della trama. Immancabilmente a Francesco Totti, mio mito calcistico dall’età di 15 anni, quando mi sono abbonato per la prima volta allo stadio Olimpico. Probabilmente a Lorella Cuccarini, per farle capire quale straordinaria venerazione LGBT ha buttato nel cesso a causa di una visione del mondo tanto bigotta. Che te sei persa, Lorè”.
E quale invece è il libro con dedica che conserva in maniera preziosa?
“Sai che non ho mai chiesto la dedica a nessuno. Non ne ho neanche uno. Così come gli autografi”.
Per chi non avesse letto il libro ma ci sta facendo un pensierino, ci lascia con una frase che lo racchiude?
“Noi quattro siamo dei cliché viventi. Abbiamo il sognatore cinefilo, la frociarola incattivita, il represso mascherato e la “favolosa” bella e affascinante. Sembriamo usciti da un film di Ferzan Ozpetek venuto male”.