A volte il duro lavoro ripaga. E così Gianluca Santoni, romano, classe 91, sta per debuttare al Taormina Film Fest, in scena dal 30 giugno, con il suo nuovo corto, “Indimenticabile”, nella categoria corti italiani, in assoluta anteprima mondiale.
Il giovane regista romano, classe ’91, ha studiato Regia al Centro Sperimentale di Cinematografia dove si è diplomato nel 2016. Successivamente ha vinto Cinemaster, l’evento di Studio Universal che l’ha portato a Hollywood con una borsa di studio per seguire da vicino i meccanismi dell’industry.
Con cinque cortometraggi all’attivo, ha realizzato anche una serie web per Rai Fiction, un Premio Solinas per il miglior soggetto di lungometraggio e un numero indefinito di spot e video commerciali.
Ancora una volta si dedica a temi sociali, dov’è nata l’ispirazione per il corto?
La presenza del sociale nei miei corti è quasi sempre incidentale. Ad essere onesto parto sempre pensando di fare un film di genere. Dopo aver raccontato la violenza in “Gionatan con la G”, che per me è un film d’avventura, pensavo di raccontare l’amore con “Indimenticabile.” Un amico mi ha raccontato della fatica con cui un ragazzo disabile di sua conoscenza aveva scoperto il sesso, non avendo neanche la possibilità di masturbarsi. Da lì, io e Michela, la sceneggiatrice con cui lavoro, abbiamo iniziato a ragionare su una storia di sesso e disabilità. Lungo il nostro percorso di scrittura abbiamo incontrato un sacco di ragazzi e ragazze che avevano vissuto situazioni simili a quelle che raccontiamo nel film, ognuna con le sue differenze, alcune più dure di quella che abbiamo mostrato, altre con un lieto fine, fatte di persone che erano riuscite ad avere una vita sentimentale più che soddisfacente
Com’è andata?
Più ci confrontavamo con queste persone e con le loro esperienze, più ci allontanavamo dal punto di partenza. La realtà di queste storie ci ha fatto capire che al centro del film doveva essere messa l’umanità e il desiderio di essere amati, che non risparmia nessuno. Sarò sempre infinitamente grato a queste persone per aver messo qualcosa di loro in questo film, anche a quelli che non ci sono più. Così “Indimenticabile” è diventata una storia d’amore, o meglio, su come l’amore supera ogni pregiudizio, se gliene dai la possibilità.
Secondo lei i corti sono le rampe di lancio per i lungometraggi?
Uso spesso l’espressione antiquata “film di cortometraggio” proprio perché penso che la differenza fra un corto e un lungometraggio sia solo nella durata. Ho visto molti corti perfetti per essere raccontati in quindici minuti e altri che, pur funzionando sulla breve durata, mi hanno fatto venir voglia di sapere di più sui personaggi e su un possibile seguito della storia. In questo senso sì: penso che alcuni corti possano essere delle premesse per i lunghi.
Cosa è successo dopo la vittoria della borsa di studio per Studio Universal?
Sono partito per Los Angeles con già in testa l’idea di “Indimenticabile” e sono tornato determinato a realizzarlo prima possibile. Purtroppo il percorso è stato lungo, ma necessario, soprattutto per la scrittura e per il casting.
Quando è nato l’amore per la regia?
La verità è che mi è davvero impossibile ricordarlo. Non ricordo né che età avessi nè come esattamente ho deciso di fare questo lavoro. L’unica cosa che ricordo è che una volta, da molto piccolo, chiesi a mia madre: “Chi è che fa i film?” e lei con molta leggerezza mi ha risposto: “I registi”. “Allora voglio fare il regista”, così ho deciso in quel momento. Insomma, se mia madre mi avesse risposto qualcosa come “I geometri”, oggi avrei fatto una carriera completamente diversa.
Qual è il primo ricordo con una videocamera in mano?
Avevo 10 anni. Fabrizio, un amico con cui sono cresciuto, aveva una telecamera a casa, di quelle caricate con delle piccole videocassette. Ricordo che l’ho convinto a chiederla in prestito al padre per girarci un nostro film. Abbiamo girato un sacco di remake dei film che guardavamo a quell’età, ovviamente in modo assurdo e naive, ad un certo punto abbiamo anche rotto il microfono e siamo stati costretti a girare solo film che non richiedessero dialogo.
A quale progetto si sta dedicando in questo periodo?
Sto lavorando ad un documentario e a due film di finzione. Uno di questi è tratto per l’appunto da un corto.
Quale regista ha influenzato maggiormente il suo modo di fare cinema?
Ken Loach.
Quale film avrebbe voluto dirigere?
Dipende dal momento in cui me lo chiedi, la risposta potrebbe variare di molto. A volte potrei rispondere: “La donna che visse due volte” di Hitchcock, altre “Rosetta” dei Dardenne o altre “Harry Potter e la pietra filosofale” di Chris Columbus.
Con quale attore, italiano o straniero, vorrebbe lavorare?
Oggi, per fortuna, è una domanda veramente difficile alla quale rispondere. Ne abbiamo parecchi in gamba, più o meno noti. Però ci provo: come attore italiano direi Pierfrancesco Favino, che reputo un fuoriclasse. Per gli internazionali direi Naomi Watts, perché avere a disposizione anche solo lei, un cellulare con fotocamera e una buona idea di storia assicurano già il capolavoro.
Per chi non avesse visto il corto “Indimenticabile”, ci lascia con un’immagine che lo racchiude?
Una mano che accarezza una farfalla, ma senza toccarla. Dicono che se sfiori loro le ali poi non riescono più a volare.
Dove vorresti fosse proiettato?
Ovunque ci sia qualcuno che ha bisogno di una carezza.