Spesso si trova sul palcoscenico, ma mai su un piedistallo. E quando parla ai ragazzi li chiama per nome, ricorda la città di provenienza e persino chi ha avuto una cotta per qualcun altro durante i giorni da giurato. Per Manlio Castagna non si tratta di memoria fotografica, ma di intelligenza emotiva, quella che lo ha portato a ricoprire un po’ tutti i ruoli del Giffoni Film Festival, tra cui vicedirettore artistico fino al 2018, direttore marketing per un paio d’anni, talent manager e oggi si occupa di coordinare la Masterclass Cult, di fare il programmer pe la sezione Generator +13, facilitator e, all’occorrenza, regista. Un curriculum impressionante, il suo, eppure quello che colpisce sbirciandolo mentre è seduto sugli scalini delle varie sale della Cittadella del Cinema o della Multimedia Valley è la capacità disarmante d’instaurare un rapporto singolo, speciale, privilegiato con ciascuno dei suoi interlocutori, come se nella stanza fossero solo due invece di centinaia. Non si prende troppo sul serio, inventa storie buffe per intrattenere i giurati in attesa dell’arrivo dell’ospite e sa quando farsi da parte per lasciare brillare un talent. Il suo, diciamolo, è un tempismo impeccabile: ci vuole signorilità per uscire di scena con garbo e lui ne ha da vendere. A metà tra il migliore amico e il fratello maggiore, resta un punto di riferimento per intere generazioni di Giffoners.
Ecco allora la nuova puntata di Giffoni Insider a lui dedicata, dopo le interviste al direttore Claudio Gubitosi, Antonia Grimaldi, Tony Guarino, Jacopo Gubitosi, Natascia De Rosa, Gianvincenzo Nastasi, Giovanni Brancaccio e Maria Pia Montuori.
Quando invece finisce il festival di cosa si occupa tutto l’anno?
Di festival, comunque. Giffoni Experience non chiude mai. A parte questo, da un paio di anni sono entrato nel mondo della letteratura come scrittore per ragazzi.
Qual è il suo primo ricordo legato a Giffoni?
Il mio primo ricordo non appartiene alla sfera del lavoro con il festival. Sono arrivato a Giffoni a 19 anni come giornalista per una testata di Salerno. Al Giardino degli Aranci è arrivato un autentico mito della mia giovinezza cinefila: Wim Wenders. Era vestito tutto di bianco, come uno dei suoi angeli del cielo sopra Berlino. Parlava con la grazia e la sicurezza di un profeta e il suo carisma si irradiava da ogni gesto. È stata un’autentica folgorazione.
Altri incontri memorabili?
Due incontri cruciali sono stati con Roman Polanski e Meryl Streep. In modo diverso mi ha commosso stare al loro fianco sul palco. Del primo ho amato la lucidità con cui ha saputo raccontare anche aspetti difficili della sua storia personale nel ghetto di Varsavia. Della Divina Meryl ricorderò per sempre la carica di umiltà mostrata nel relazionarsi con tutti, la signorilità dei grandi artisti che sono innanzitutto grandi esseri umani. Last but not least, Richard Gere. Non era esattamente un idolo della mia infanzia, ma ritrovarmi con lui a pranzo e parlare con passione di fotografia, di Salgado, di spiritualità, di cinema italiano ha rafforzato la stima enorme che già gli tributavo.
Una foto speciale?
Una foto in cui sono abbracciato a Jennifer Aniston, venivo da un momento particolare della mia vita. Pochi giorni prima di incontrarla avevo avuto un grande dolore e parlando con lei ho scoperto una sensibilità straordinaria celata dietro l’aspetto più propriamente glamour della star hollywoodiana. Prima di scendere dal palco dove avevo condotto il suo incontro, mi ha appunto abbracciato e sussurrato all’orecchio una frase che mi ha fatto un gran bene. Quando vedo quello scatto ripenso con emozione a quel momento.
Questi artisti non sono solo divi di Hollywood ma anche esseri umani che i giovani giurati prendono ad esempio e alcune testimonianze cambiano la vita e ispirano carriere. Le viene in mente la storia di qualche giurato in particolare?
Un giurato sudcoreano è stato ispirato da Mark Ruffalo nell’affrontare una malattia che lo aveva colpito da poco. Ma anche la storia di Ciro D’Emilio, giurato per qualche anno a Giffoni che ha mostrato da subito una grande voglia di fare cinema e ora si è affermato tra le voci più interessanti del panorama dei registi italiani contemporanei.
Le è mai capitato che fosse un artista a scriverle di partecipare per la prima volta o per ritornare?
Ricordo una telefonata di Paolo Villaggio una sera, mentre ero a cena con amici. Inizialmente ho pensato ad uno scherzo. Aveva una voglia irrefrenabile di tornare a Giffoni e ed è stato bello incontrarlo. La sua ironia, splendidamente cinica, non la dimenticherò mai. Un altro è Mika da cui ho ricevuto prima un messaggio Whatsapp e poi una telefonata perché aveva il desiderio di respirare ancora l’aria pura di Giffoni. Un balsamo per la sua creatività, a quanto ci ha detto.
Un oggetto legato a Giffoni di cui è particolarmente geloso?
Non sono un amante dei feticci e degli oggetti. Ho un rapporto piuttosto svagato nei confronti delle cose. Non custodisco niente con particolare cura. Però c’è un trolley con l’effige del manifesto del 2010 (tema Love) che mi piace molto e anche se un po’ “ferita” da tanti anni di viaggi in giro per il mondo non mi rassegno a dar via.
Chi vorrebbe come ospite delle sue Masterclass?
Il mio sogno è organizzare un incontro con Wes Anderson o con Stephen “Dio” King.
Ci fa almeno tre nomi di artisti che ancora non sono venuti a Giffoni ma che aspetta con ansia di invitare?
Non mi occupo più io di inviti, ma sarebbe bello avere anche Tim Burton, Martin Scorsese e J.K. Rowling.