Il web non è la vita vera, ma un luogo dove cercare l’approvazione altrui, un rifugio per le insicurezze. (Sophie Kinsella)
I vestiti sono ammonticchiati sull’amaca al centro di una stanza minuscola, in una casa di periferia a Londra condivisa con coinquilini dalle abitudini discutibili. Appenderli è un lusso che richiederebbe un armadio, spesa eccessiva per una 26enne come lei, Katie, che compra gli abiti al mercatino delle pulci per poi staccarne l’etichetta “taroccata” in un moto di vergogna. È il suo piccolo segreto, nessuno deve saperlo: per il mondo, famiglia e amici inclusi, sta vivendo il sogno di una carriera brillante nella City, tra locali alla moda ed eventi raffinati. O almeno così scrive sul suo account Instagram, dove posta foto di cioccolate fumanti in cioccolaterie di lusso, senza averci mai messo piede, neppure per chiedere un’informazione.
Parte così La mia vita non proprio perfetta (Mondadori), l’ultimo romanzo già bestseller di Sophie Kinsella, 47enne scrittrice inglese a quota 24 libri (tra cui la fortunata serie di I Love Shopping) e oltre 50 milioni di copie. Stavolta racconta l’arte dei selfie, anche se non sa assolutamente farli. “Durante le ultime vacanze in famiglia – confessa – ho fatto un video con il cellulare, ma quando l’ho rivisto mi sono accorta di aver messo il dito sullo schermo per tutta la registrazione”. D’altronde lei è così, piena di adorabili contraddizioni, proprio come le sue protagoniste, nate dalla passione per Jane Austen e alimentate dalla convinzione che una donna possa davvero avere arrivare ovunque, a patto che lo voglia davvero.
Ci svela qualche retroscena della sua vita “non proprio perfetta”?
Gli esperimenti di cucina: l’altro giorno ho dimenticato le cipolle nel forno e quando le ho tirate fuori erano carbonizzate al punto che mi si sono sgretolate in mano. E quel disastro della mia scrivania, un caos di post-it, appunti sui romanzi, lavoretti dei bambini, neppure lontanamente pulita e ordinata come sembra dalle foto online.
Anche lei è ossessionata dall’immagine?
Mi dichiaro colpevole! Quando su una rivista guardo ritratti patinati di famiglie sorridenti nelle loro case sulla spiaggia penso: “Wow, ma che vita pazzesca”. Finisco per pensare che sia la realtà e al tempo stesso quando per strada incappo in qualcosa di bello invece di godermelo penso a come verrebbe sui social. Ecco, questa dipendenza altera e danneggia il modo con cui guardiamo il mondo e ci convince che se non postiamo non esistiamo o non abbiamo valore, ci porta a dubitare di noi stessi quando non rispondiamo agli standard di “finta” bellezza che ci circonda.
Lei come si “disintossica”?
L’altro giorno invece di filmare la recita scolastica dei miei ragazzi l’ho semplicemente guardata, per non dare loro l’impressione di essere circondati dai paparazzi. Mio marito e io abbiamo poi imposto che non ci siano cellulari a tavola e ci siamo ripromessi di controllarli meno spesso in presenza dei ragazzi.
Perché?
Il web non è la vita vera, ma un luogo dove cercare l’approvazione altrui, un rifugio per le insicurezze. Invece non possiamo lasciare che sia l’esterno a definirci, l’approvazione dei presunti spettatori o testimoni a cui chiediamo conferme mettendoci in vetrina, convinti che quel riflesso sia la nostra essenza. Ci sforziamo di mostrarci al meglio, di scegliere la posa più fotogenica, la luce giusta e i filtri adatti, mentre quello che siamo davvero si trova dentro di noi e per questo non descrivo mai i miei personaggi fisicamente, ma racconto le loro personalità, i pensieri e le azioni, che contano maggiormente nel dirci chi sono.
L’intervista integrale è stata pubblicata sul settimanale femminile “F”, numero 20, anno 2017