Ci siamo conosciuti in un locale in cui si schiacciavano le noccioline su lunghe panche di legno e poi la gente ci ballava sopra sui tavoli. Altri tempi, ovviamente, nella mia vita precedente. Mi hanno regalato alcuni dei momenti più assurdi di questi primi quarant’anni, sia quando vivevamo in Piemonte ad una manciata di chilometri di distanza, sia quando – da un decennio a questa parte – io sono tornata a Roma e ci separano 630 km circa (ma chi li conta, no?).
Posso dire con assoluta certezza che la loro coppia è nella mia top 3 sulle relazioni che funzionano davvero. Mi danno la speranza anzi la certezza che il matrimonio o la convivenza – anche se solo con un caso su milioni – può non uccidere l’amore. Questi ragazzi restano forse uno dei rarissimi casi che ho conosciuto da vicino (se non l’unico) di giovani genitori equilibrati. Hanno due bambini, di 7 e 4 anni, e sono stati i primi del nostro gruppo di amici a diventare “papà e mamma”. Forse perché i loro figli sono cresciuti tra noi adulti o perché sono stati educati alla pari (senza vocine fastidiose o termini come “pappa”, “popò” e “pappette”), sta di fatto che non considerano la paternità e la maternità come una categoria protetta che concede l’immunità e la precedenza. Si comportano esattamente come prima, tenendo conto però delle esigenze dei più piccoli.
È servito tutto questo preambolo per dire che le videochiamate con loro in tempo di pandemia sono state tra i momenti più spensierati di questi mesi (oltre al primo bacio dell’altro giorno). Spesso c’era la voce del più piccolo di casa in sottofondo che canticchiava la sigla di Memole mentre la maggiore mi mostrava gli esperimenti della didattica a distanza con materiale riciclato, durante gli aperitivi di gruppo a distanza. E a me piace così.
La mia amica ed io siamo potterhead (fan del maghetto di J.K. Rowling) e ricordo ancora quando ci siamo avventurate a Milano in macchina per l’anteprima stampa di uno degli ultimi capitoli cinematografici. Quando hai gli occhi annebbiati dall’emozione difficilmente spiccichi parola e infatti siamo state zitte – cosa per me impensabile – e ce la siamo goduta, riuscendo a riprendere fiato solo sulla via del ritorno verso Alessandria. Oggi ha trasmesso questa passione ai suoi bambini, con tanto di torta di compleanno a tema fatta da lei e costumi a tema Hogwarts per Halloween, e così alcune chiacchierate sono rigorosamente a tema.
Per il compleanno la sua “mini me” ha ricevuto in regalo il Trivial Pursuit di Harry Potter e mi ha formalmente invitato a giocarci con lei. Non serve essere un bambino per sapere che quando qualcosa che ami ti arriva a casa non vedi l’ora di usarlo. In questo caso eravamo in due… come si fa?
Ieri ci abbiamo provato, con tanto di webcam e un tavolo apparecchiato con tabellone e istruzioni. Unica regola: niente domande spoiler oltre il quarto libro, che la piccola non ha ancora letto. E infatti non ha ancora guardato i film dal quinto in poi perché hanno contenuti non proprio adatti alla sua età.
Io la chiamo “la mia piccola Treccani” perché usa la consecutio temporum con una fluidità maggiore dell’85% almeno delle persone che conosco e ha una proprietà lessicale da docente universitario. Quindi non mi stupisco quando mi chiama per dissertare su alcune scelte degli adattamenti su grande schermo delle avventure del maghetto, sui buchi di trama o sulle incongruenze. Con tutta la serietà che una bambina di 7 anni conferisce, ovviamente, ad una delle sue più grandi passioni.
Il mio “guilty pleasure”, quel piacere proibito in tempo di distanziamento sociale, si riassume allora in questo, aver la possibilità di giocare con lei, la mia nipotina del cuore, anche se ho qualche difficoltà a distinguere il colore delle caselle attraverso lo schermo.
Tra domande impossibili e quesiti troppo semplici, tra un “batti cinque” virtuale e qualche aneddoto buffo, raggiungiamo la cifra record di chiamata di 3 ore e 50 minuti. Sì, perché il dopo-partita – mentre i bimbi sono a letto – è riservato allo spazio tra adulti (per età anagrafica, visto che dentro siamo tutti e tre teenager).
Dentro ogni secondo di questa video-chiamata c’è tutta la nostra amicizia condivisa, un rapporto che è riuscito a cambiare quando noi siamo cambiati e che ha resistito anche alla pandemia. La loro presenza nella mia vita spiega perché per festeggiare i 40 anni non ho organizzato uno di quei party da mille e un invitato, tra musica assordante e ubriacature collettive. La mia idea di felicità di compleanno è un weekend in Umbria con tutti loro (come facciamo ormai da tempo) all’insegna della porchetta locale. Mi accontento? Manco per idea, non ho intenzione di farlo più nella mia vita: quei tre giorni insieme era tutto quello che avrei voluto e non osavo chiedere. Infatti mi hanno fatto una semi-sorpresa, unica ragione per cui valesse la pena rinunciare a Lucca Comics and Games (la mia terra promessa nerd) per un’edizione.
Non li considero amici, ma la mia “famiglia piemontese” che comprende i loro rispettivi genitori, capaci non solo di coccolarmi più dei parenti di sangue ma di accettarmi – abbracciarmi – senza ricatti emotivi né condizioni.
Per questo quando oggi ho ricevuto un messaggio vocale su Whatsapp della nipotina potteriana che mi invitava a fare il bis della serata giochi non avrei potuto essere più contenta. Intanto il fratellino ha promesso di farmi un ritratto, evidentemente mi ha perdonato di aver scambiato il suo disegno di famiglia per un campo da Quidditch. A riprova del fatto che mi vogliono bene così come sono. Ora ci starebbe bene un “Idem”, come quello di Patrick Swayze in Ghost.
Qui tutte le “puntate” dei miei diari precedenti:
E qui le precedenti “puntate” della mia vita in lockdown:
- Coronavirus, una storia di gentilezza (stra)ordinaria
- Coronavirus, il giorno in cui ha smesso di essere un numero ed è diventato il nome di un mio amico (articolo pubblicato da Vanity Vair in italiano e qui tradotto in inglese)
- 1 anno di virgolette: tanti auguri, Air Quotes!
- Coronavirus, quando un terremoto non fa più paura
- Coronavirus, perdere un amico e non potergli dire addio
- Coronavirus, la prima Messa dopo il lockdown
- Coronavirus, il ritorno in posta
- Coronavirus, aggiungo un posto a tavola dopo il lockdown
- Coronavirus, il giorno in cui mi hanno oscurato il sole
- Coronavirus, la pandemia che mi ha rubato il sonno
- Coronavirus, la giostra delle “prime volte”: la colazione al bar, lo shopping e il McDonald’s
- Coronavirus, il primo giretto da IKEA
- Coronavirus, la prima cena al ristorante (con sorpresa)
- Coronavirus, il primo bacio
- Coronavirus e quei piaceri proibiti
- Le interviste (folli) ai tempi del lockdown
- Coronavirus, finalmente il vaccino (da volontaria)