Come in ogni racconto a puntate che si rispetti bisogna partire dal riassunto degli episodi precedenti:
Ho scritto un articolo sulla mia esperienza di ragazza plus size dal titolo “Le avventure di una curvy (risolta), pubblicato qualche settimana fa su Io Donna (si può leggere qui);
Ho iniziato a ricevere insulti su Instagram (nella foto sotto);
Il quotidiano Leggo ha pubblicato la storia degli insulti in prima pagina (la potete leggere qui);
Anche sulla TV greca hanno parlato degli hater e del cyberbullismo che ho subito (potete guardare il servizio qui);
Ho chiesto aiuto su Facebook per capire come procedere e ho seguito quasi tutti i consigli. Ho scritto a Odiare ti costa (non mi hanno mai risposto e Selvaggia Lucarelli spiega in questo articolo meglio di me il perchè); ho parlato con Selvaggia Lucarelli; ho prima cancellato il commento; ho preso appuntamento con la polizia postale per la denuncia (nei prossimi giorni) e ho parlato con l’ufficio stampa di Instagram per chiedere spiegazioni. Su cosa? Semplice: ho segnalato il profilo e i commenti ma NON sono stati considerati offensivi nè lesivi delle norme del social network.
Nel frattempo uno degli hater ha preso di mira due persone a me vicine che hanno ripostato il mio articolo appoggiando la mia idea di accettazione di sè e body positivity. Risultato? Altri insulti, stessa risposta da Instagram (come si vede nell’immagine sotto):
Su consiglio di un collega giornalista ho appunto contattato l’ufficio che si occupa delle relazioni con la stampa di Instagram. In breve mi è stato risposto che è responsabilità dell’utente bloccare il profilo da cui si ricevono messaggi non graditi.
Proviamo a capire meglio: Instagram consente di segnalare al social media l’accaduto ma non fa nulla perchè non risucceda. Zero. Di conseguenza, come nel mio caso, l’hater continua a impestare le bacheche altrui e la mia di insulti impunemente.
Ho spiegato a questi interlocutori istituzionali che, sebbene capisca che la gestione delle segnalazioni avviene tramite intelligenza artificiale, una risposta del genere scarica di fatto ogni azione su chi subisce bullismo e non su chi lo perpetua.
Ho anche fatto l’esempio ipotetico di una quattordicenne che riceve il messaggio di Instagram in cui dice che di fatto gli insulti ricevuti non violano alcuna regolamentazione. In altre parole vengono in qualche maniera se non legittimati almeno tollerati. Quindi si sta dicendo a questa ragazza che se la deve sbrigare da sola, che deve monitorare costantemente la bacheca e i commenti nel terrore. L’hater, anche se riceve il blocco sul profilo, può sempre aprirne un altro o usarne uno diverso e continuare. All’infinito. Senza che nessuno faccia nulla.
Portata all’estremo, su una persona fragile, questa persecuzione può avere conseguenze disastrose e pericolose da un punto di vista fisico e psicologico. Non bastano le campagne con qualche testimonial più o meno famoso, servono azioni precise da parte dei social che ospitano una community, una presa di posizione netta, un messaggio forte e chiaro che prenda le difese di chi subisce un torto.
Sto ancora aspettando – temo che l’attesa sia lunga, sono già passati svariati giorni – che l’ufficio stampa di Instagram mi spieghi nello specifico se esistono parole chiave che effettivamente spronino Instagram ad un’azione su un profilo e per quale motivo gli insulti ricevuti da me e dalle persone che hanno abbracciato i miei messaggi d’inclusività non vengono considerati tali.
Ricordiamoci che gli ignavi, quelli che non agiscono, hanno un posto d’onore nei gironi dell’Inferno di Dante. E a me preoccupa, delude e irrita l’idea che Instagram deleghi ogni responsabilità. Il bullismo, di qualunque natura, non deve essere tollerato. Basta attenuanti, basta retorica, basta alibi. Il tempo di agire è arrivato.