Prometto di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità. Solo così mi sento libera e finalmente leggera. Anche e soprattutto quando tutto questo a qualcuno dà fastidio al punto di bullizzarmi online. E il settimanale femminile Tu style mi ha permesso di raccontare com’è andata.
Ecco l’articolo completo:
Il rossetto mi trema tra le mani. Non mi sono mai sentita così audace, tanto meno sui tacchi (ho un 41 abbondante), o con il baby-doll. Continuo a scrivere finché sulla mia pelle non compare la parola “curvy”. Mi guardo allo specchio, dritta negli occhi, mentre trattengo il fiato. Questa sono io: dopo una vita intera passata a distogliere lo sguardo per via del peso, stavolta ho deciso persino di farmi scattare una foto. E postarla sui social.
Questo slancio d’entusiasmo l’ho pagato caro perché – tra i tanti messaggi gioiosi sull’accettazione delle proprie forme – sono spuntati online commenti di tutt’altra natura. “Sei una palla di lardo”, “adatta a fare la scomparsa”, “nemmeno ti lavi”, “giusto nella discarica” (puoi stare) perché “sei obesa”.
Prima reazione? Vergogna pura, imbarazzo, sconforto e un po’ di panico. Avrei voluto che una voragine m’inghiottisse, non capivo cosa avesse scatenato tanta cattiveria in una sconosciuta (dalla foto profilo sembra una signora di mezza età dai capelli corvino e gli occhiali da sole giganti a nascondere mezzo volto).
Quando Instagram mi ha risposto varie volte che non violava le regole della community ho pensato: “Beh, me la sono cercata. Ho messo in mostra i rotolini e sono arrivate le critiche”.
Ci è voluta un’amica, la criminologa Cristina Brondoni, a farmi distinguere un giudizio da un’offesa. Comunque l’idea di rispondere per le rime non mi ha neppure sfiorato anche perché la battaglia a suon di click in questi casi diventa pericolosa. Al massimo – mi ha detto – meglio spiazzare con un’emoticon con il bacetto. Non me la sono sentita, anzi ho attivato le notifiche sonore nel terrore che di notte mi riempisse d’insulti e restassero lì, in bella vista, per ore.
Altro errore, ovviamente, perché mi sono lasciata condizionare e, spinta da un senso di disagio crescente, ho cancellato quei messaggi. Per fortuna dopo aver fatto uno screenshot, per conservare una memoria storica della vicenda nel caso degenerasse. È accaduto perché – ho scoperto dopo – gli hater detestano essere ignorati e infatti la signora ha iniziato ad offendere persone a me vicine.
Inizialmente ne avevo bloccato l’account, altro sbaglio: anche nella vita virtuale vale il detto “tieni i nemici più vicini”, per verificare che non facciano ulteriori danni. A quel punto la confusione iniziale è diventata frustrazione, mista a senso d’impotenza. Ho chiesto aiuto ai contatti di Facebook, postando gli insulti ricevuti ma oscurando il nome del mittente. Per varie ragioni: evitare di scendere allo stesso livello, scongiurare uno shitstorm nei suoi confronti e tutelarmi nel caso in cui la persona compisse gesti estremi. Non so chi ci sia dall’altra parte della tastiera ma l’ipotesi che possa essere un individuo fragile, per esempio, e capace di buttarsi dalla finestra in seguito a tutto questo mi ha tormentato per giorni.
“In alcuni casi – mi ha detto Cristina Brondoni – definire qualcuno “hater” invece di chiamarlo per quello che è, ossia uno “scemo pagliaccio”, non fa che amplificarne status”. Ricapitolando: sono stata messa alla berlina ma ci sono dovuta andare con i piedi di piombo, per scongiurare il peggio. All’inizio non agivo lucidamente, volevo solo che la signora smettesse di puntare i riflettori su quel corpo che per 40 anni ho considerato un nemico e ho cercato sempre di nascondere. Invece continua a provocarmi mentre Instagram rispondeva alle segnalazioni dicendo, di fatto, che quei commenti erano legittimi, e di conseguenza mi sentivo arrabbiata e, di nuovo, sbagliata.
Avrei potuto fare un passo indietro, rimuovere la foto e tornare a infagottarmi in sacchi extra extra extra large per diventare invisibile. Ma quando esci allo scoperto e provi per la prima volta la sensazione di libertà e leggerezza nel volerti bene poi non vuoi tornare nella gabbia d’insicurezze che ti sei costruito attorno.
Alcune ragazze mi hanno scritto di aver fatto autolesionismo, per punire quel fisico tanto bersagliato. “Eh no – mi sono detta – se mollo ora gliela do vinta”. E non mi riferivo solo alla signora con gli occhialoni, ma a tutti quelli prima di lei, che si sono sentiti in diritto d’insultarmi con l’alibi di volermi far dimagrire. Non penso che sia sano o bello vivere con i chili di troppo, ma serve fare un percorso di consapevolezza con i miei tempi e alle mie condizioni.
Così ho preso appuntamento con la polizia postale per denunciare l’accaduto. Instagram – tramite l’ufficio stampa che si occupa d’intrattenere le relazioni con i giornalisti – mi ha preceduta chiudendo finalmente l’account. La signora potrebbe ritornare alla carica con un nuovo nickname. Lo facesse pure, stavolta sono pronta.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero doppo 34-35 del settimanale Tu Style, in edicola dall’11 agosto 2020.