Alla Mostra del cinema di Venezia il glamour acquista uno spazio sempre maggiore, come ci ha raccontato Carlo Capasa, Presidente della Camera nazionale della Moda italiana, in occasione del Franca Sozzani Award. In occasione dell’evento, quest’anno organizzato da Livia Giuggioli (la moglie di Colin Firth), l’imprenditrice di Eco Age ha organizzato un pranzo esclusivo assieme al marito per celebrare l’icona delle passerelle premiata quest’anno, Iman (Lady Bowie) con pochi amici tra cui Stefania Rocca (moglie di Capasa), Rupert Everett e la cantante Annalisa.
Capasa ha tirato le somme sulle tendenze presenti e future e ha anticipato il prossimo Green Carpet Fashion Awards Italia, un riconoscimento che verrà consegnato il prossimo 22 settembre al Teatro La Scala di Milano alla presenza del gotha della moda mondiale.
Perché questo premio è così speciale?
È importante celebrare il contributo dell’industria della moda made in Italy nel campo della sostenibilità e questo evento per primo nel Belpaese premia chi fa un lavoro meritevole nella filiera, considerando che nel panorama europeo il nostro Paese resta un’eccellenza in questo campo.
Definisca la parola “sostenibilità”.
È dal 2011 che è in atto un lavoro serio per stabilirlo con un tavolo d’intesa tra i più importanti brand della Penisola che si confrontano con quelli internazionali. Si tratta di una specie di linee guida su quattro binari.
Qual è il primo criterio?
Innanzitutto riguarda la chimica usata per i prodotti e si stabilisce quali sostanze possano essere utilizzate, tenendo conto delle tecnologie in continua evoluzione.
Il secondo?
Il processo produttivo: l’energia usata ha un impatto ambientale ed è una nostra responsabilità prendercene cura. Dubitiamo di chi garantisce un prodotto “sostenibile al 100%” perché ad oggi non è assolutamente possibile.
Il terzo?
Stiamo lavorando ad un’economia circolare che garantisca il tracciamento dell’origine dei prodotti e il loro riciclo. Mi spiego meglio: quant’è bello che la moda di alta qualità non venga distrutta ma resti quasi un bene di famiglia da tramandare. Livia Firth dice che un indumento per essere valorizzato andrebbe usato almeno venti volte e ha ragione.
L’ultimo?
La sostenibilità dev’essere sociale e cioè garantire il rispetto dei diritti umani facendo luce sulle cosiddette aree grigie, ossia il lavoro non regolamentato delle sub-produzioni. Nei prossimi anni in quest’ambito ci sarà una rivoluzione necessaria perché ai controlli a volte sfugge qualcosa e non si può parlare di moda etica sfruttando i lavoratori. Esistono contratti collettivi che vengono applicati a tutti coloro che svolgono una mansione nell’ambito della moda, un tipo di tutela che gli altri paesi non hanno.
I social media aiutano la moda?
Chi si occupa di marketing pensa sia così ma a volte il “green washing” è un’operazione di facciata: la fast fashion proclama una moda sostenibile che invece richiederebbe grandi investimenti e quindi contraddice la filosofia del low cost. I grandi brand lo fanno senza pubblicizzarlo. È facile dire che oggi definirsi sostenibili “va di moda” ma ogni lavoro serio ha bisogno di tempo. La fast fashion offre capi senza futuro e a volte ti dà l’illusione di risparmiare quando non è così: meglio avere nell’armadio due capi che durano, ma questo è un problema culturale.
E le influencer?
Secondo me è un sistema che ha le gambe corte, con proclami invece di azioni, ma non è una realtà che si può ignorare.
Personaggi che ci stanno mettendo la faccia?
Da DiCaprio ad Al Gore fino a Cate Blanchett, che nella premiazione dello scorso anno raccontava progetti sociali concreti che segue personalmente.
Come si argina lo spreco?
Con tante iniziative che per fortuna stanno prendendo piede per le nuove generazioni come il renting. Esistono siti che affittano i capi moltiplicandone la vita con la filosofia dello sharing che i giovani oggi amano. Non hai bisogno di acquistare qualcosa, puoi usarla e rivenderla o prestarla e l’industria della moda ci guadagna comunque perché quel capo inizialmente è stato comprato. Per non parlare dei capi vintage che tornano a brillare e raccontano una storia.
Qui a Venezia è stato appena presentato il documentario di Chiara Ferragni, tra varie polemiche. Lei che ne pensa?
Non credo nei giudizi in generale, penso che la storia ci porti sempre il conto. Se lei fa qualcosa nel rispetto dell’ambiente e del prossimo allora benvenga. Bisogna essere più democratici e Chiara Ferragni rappresenta un modello positivo, con un’ottima carriera. Non dico sia “il” modello in assoluto perché poi ogni comunity ha i suoi punti di riferimento e lei ne rappresenta una.
Un like equivale ad un acquisto?
Non credo perché la moda è una fucina di creatività che esalta le storie autentiche. L’influencer è un mezzo, prende un pezzetto di questo racconto finora fatto dai media tradizionale e lo fa suo ma non va confuso con il contenuto.
Qual è l’eredità che ci ha lasciato Franca Sozzani?
È sempre stata un’innovatrice coraggiosa, che ha portato avanti campagne per l’inclusione e ha fatto posare modelle di colore in tempi in cui questa ipotesi non era minimamente contemplata. Ha scattato foto di top ricoperte di petrolio per denunciare l’inquinamento dei mari e ha portato contenuti di sostenibilità nella moda come mai prima di allora, usando il giornale (Vogue, ndr.) come un manifesto all’avanguardia.
Chi potrebbe seguire le sue orme?
Vedo molte donne preparate, da Livia Firth a Maria Grazia Chiuri, fino a Stella McCartney, tutte professioniste che si stanno battendo per la parità di genere e guardano al futuro. Prada sta realizzando qualcosa di eccezionale, raccontando il femminile anche nell’arte con una Fondazione incredibile e solerte. Da Alberta Ferretti a Donatella Versace, il panorama della moda brilla di voci femminile, grandi donne da tenersi strette. La loro autenticità sarebbe da prendere ad esempio. Magari ci fossero loro in politica!
L’intervista è stata pubblicata su Glamour.it il 17 settembre 2019